Elogio dell'amicizia, ovvero la storia di Khalid e della sua classe


Khalid, 4 SA del “Carrara”, è impaziente. Mi chiede quando uscirà il “pezzo”. Gli rispondo che non sono una giornalista, che gli adempimenti di fine anno richiedono molto lavoro e che la pubblicazione della sua testimonianza non è così scontata, specie nei tempi che lui vorrebbe. Ma Khalid è troppo entusiasta di parlare della sua classe e l’ultimo giorno di scuola è ormai alle porte: una sorpresa ai suoi compagni dopo quella data senza poter assistere alla loro reazione è per lui impensabile quanto insopportabile. Gli prometto che farò il possibile perché il regalo sia pronto quanto prima e, tanto per rompere il ghiaccio di una sorta di intervista abborracciata, gli chiedo tre aggettivi con i quali definirebbe il gruppo di cui fa parte. Non esita, e le parole scivolano via senza la difficoltà con cui spesso gli fuoriescono: “sereno, collaborativo e complice”, mi dice. I suoi occhi vivaci si illuminano e senti, capisci quanto la serenità, la collaborazione e la complicità siano la cifra della sua classe. Ciò che lo colpisce dei suoi compagni e lo fa felice non sono i loro gesti di aiuto, ma la naturalezza e l’automatismo con i quali essi si manifestano e che li rendono preziosi, speciali, poiché non imposti dal senso del dovere o da asettica solidarietà, ma offerti da un moto spontaneo dell’animo. “Quando arrivo a scuola, uno mi leva il giacchetto senza che glielo chieda, un altro mi si piazza accanto per scrivere gli appunti, un altro ancora prepara la cartella quando le lezioni sono finite. Anche con le ragazze sto bene: le donne sono più mature e sensibili, più capaci di noi di intercettare sentimenti ed emozioni e con loro si può discutere di tutto”. Ma nel prosieguo della narrazione, ti rendi conto che è la complicità a farla da padrona. “Siamo come una coperta: dove non arrivo io, arrivano loro e viceversa. Ci copriamo l’un l’altro e se casca uno, cascano tutti. Essere punito come gli altri e insieme agli altri per aver combinato un guaio mi fa sentire veramente parte di una comunità: ne sono uno dei punti cardine per la prima volta nella mia vita. Certamente - continua Khalid- il gruppo è favorito dalla presenza di certi professori, anche di quelli che sembrano a volte cinici, ma hanno tante cose dentro che non danno a vedere. Una docente in particolare è molto amata: dice cose buone a tutti anche quando non c’è niente di buono da dire”. “C’è qualcuno in particolare a cui va il tuo pensiero?”, gli domando. “Sì, Francesco. Francesco non è solo un mio compagno, è un fratello acquisito. Se potessi parlare a suo padre, gli direi che è davvero fortunato ad avere un figlio pazzesco come lui. Vede, io tendo ad aiutare gli altri piuttosto che ad essere aiutato, ma lui mi ha fatto capire che tutti abbiamo dei limiti e che abbiamo bisogno d’aiuto. L’amicizia è una grande cosa. Francesco è entrato nel mio cuore e quando qualcuno entra nel mio cuore, non ci esce più”. Suona la campanella. Dobbiamo tornare nelle rispettive aule. Grazie, Khalid.

Marina Giannarini

(già pubblicato da "La Gazzetta di Lucca" e "Lucca in Diretta")